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Empatia, via le mani dagli occhi

Quante volte abbiamo sentito parlare di empatia? Siamo stati abituati a definirla come la capacità di vestire i panni dell’altro se non la possibilità di “camminare con le sue scarpe”. Per essere empatici, infatti, gli psicologi ci dicono sia necessario passare attraverso alcuni step:

  • Conoscere le emozioni di base (e fin qui);
  • Rispecchiare il vissuto interiore dell’altro. Tradotto: attraverso di noi l’altro deve poter assumere la capacità di vedersi dall’esterno (a mio avviso, la faccenda si complica);
  • Adottare il punto di vista altrui per comprendere come mai il soggetto in questione si comporta in un determinato modo e perché prova proprio quelle emozioni (questa è una bella sfida).

Quanti di noi quindi, visti i tre punti sopra, possono effettivamente dire di avere visto la realtà con gli occhi degli altri? Forse, troppo pochi, forse nessuno.

Vogliamo complicare ancora di più la nostra analisi dell’empatia? Proviamo a parlare di animali.

Vi siete mai chiesti come vedono ciò che li circonda? (Ricordiamo l’eterno dilemma: ma i cani vedono a colori?)
Cosa pensano durante il giorno? (Il mio gatto mi vuole bene o vuole solo le crocchette?)
Se la risposta è no oppure sì ma in effetti non secondo i crismi e carismi dei tre punti sopra… beh, facciamolo ora insieme.

Pronti? Togliamoci le mani dagli occhi, cambiamo prospettiva e mettiamoci nei panni di un Cavallo della nostra Equipe (Apollo) e vediamo cosa succede.

Nota per chi legge: quello che seguirà è un breve spezzone di vita dal punto di vista del cavallo. Si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo serio o ipercritico o peggio, che non è in grado di usare la fantasia.

Luogo: box
Ora: alba

Che dormita! Devo ammetterlo, questo nuovo truciolo è davvero comodo. E che profumo! Peccato solo per il mio bellissimo naso: adoro dormire sdraiato e ogni volta che i fili di fieno si nascondono sotto la mia schiena, sono costretto a perlustrare ogni angolo più piccolo per ritrovarli. E mangiarli! 

A proposito di mangiare: ehi, Vittorio, guarda! Sta arrivando la colazione! Elettra, ci sei anche tu? Mi senti? È ora di alzarsi!!! Prima io, prima io, prima io! 
Ehy umanoooo!
Guardami, ti prego ti prego ti prego, io per primoooo! Evvai!! Quanto fienoooo! Buona colazione, ragazzi! 

Ehi, un momento, cos’è stato? Vitto, lo hai visto anche tu vero? Che cos’era? Veniva dal cielo svolazza! da quella parte… anzi no, da quella! Che paura, che paura! Cosa facciamo?
Viene verso di noi, Vitto! Ma, ma… dove scappi? Aspetta! Elettra, almeno tu rimani con me! Ma, ma… non correre dietro a Vittorio!
Oh, niente: sono rimasto solo. Idee, idee, idee, … mi serve un’idea!
Ce l’ho!
(Speriamo funzioni!)
“Ehi tu, non avvicinarti!” IHHHHH  Guardami, non vedi le mie orecchie? E il mio naso? Sono tutto teso, stammi lontano! Stammi lontanoooo!”
Oh miseria si avvicina…
Non funziona? 

Eccoti servito: petto, collo, pancia, coda, gambe: al mio servizio! Collo, tu in alto: porta la testa ad un’altezza mai vista! Petto, ti voglio in fuori, che da te si sprigioni la potenza! Pancia, in dentro: devo sembrare prestante, tremendamente atletico! Coda, più dritta, che l’aria ti faccia sembrare un mantello! E voi, gambe: posate a terra gli zoccoli con grande forza, che il rumore dei miei ferri rimbombi come il tuono! 

(Lo sapevo che oggi non era giornata!)

E ora a noi due, strano essere informe. Mi sto avvicinando, ti avviso: guardo in alto, in basso, ti scruto. 

(Mamma mia, per fortuna che non mi legge nella mente: che paura, che paura, che paura!)!

“Non avrai scampo!” Ma… aspettate un attimo: cosa… cosa vedo? Mi avvicino un altro po’. Ma… sembra… sembra un… è un sacchetto! Un sacchetto?! Non può essere! Era una cosa enorme, volava vorticosamente, lamenti come grida di drago e… scintille da ogni lato! Davvero, davvero! Vitto, Elettra lo giuro: era semplicemente spaventoso! 

Ehi, non c’è bisogno di ridere così forte. Smettetela! Capita a tutti di prendere una svista e comunque sapevo benissimo che si trattava di un sacchetto.

Rieccoci qui, dal punto di vista umano…. Quello che avete letto sopra è un gioco… un gioco che ci insegna come una cosa che per noi appare banale, come un sacchetto di plastica che fluttua, per un animale rappresenta un qualcosa di sconosciuto/pericoloso/terrificante/inspiegabile/incredibile.

Ecco, empatia è vedere quel sacchetto di plastica che fluttua come lo vedrebbe Apollo. E se noi capissimo che un modo per vivere più a fondo sarebbe quello di assumere le prospettive degli altri, guadagneremmo giorni di vita. E se non ci credete, chiedete a James Joyce.

Pensare a come vede il mondo un cavallo è un “gioco” che a me piace fare continuamente: pur avendo passato ormai tanto tempo vicino a cavalli e asini, la curiosità che mi spinge a interpretarli è sempre tantissima. Eppure, dovendomi basare unicamente su un linguaggio non verbale, comprendere il loro stato d’animo è una sfida quotidiana. Ad esempio, ho capito che, senza il bisogno di parole, con il cavallo si parla si ascolta si comunica e si condivide. mentre ascoltiamo lui, ascoltiamo noi: lavorare con questo straordinario compagno fa sì che lavoriamo anche su noi stessi. Il cavallo infatti percepisce perfettamente i nostri stati d’animo: ci rimanda sempre e solamente ciò che siamo, senza filtri. Anche io, oggi, quando sarò vicino a Lara (una splendida cavalla del nostro Team), chiederò: cosa mi farai vedere di me oggi che ancora non so? Come una cassa di risonanza di come stiamo, il cavallo ci restituisce un suono che vibra in modo direttamente proporzionale alle nostre corde.

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